272016Mag
Fare una “proposta indecente” costituisce reato?

Fare una “proposta indecente” costituisce reato?

Prima di rispondere a questa domanda, è opportuno premettere, per chi non lo sapesse, che concordare un rapporto sessuale a pagamento con una prostituta può costituire un illecito amministrativo, punito con una sanzione pecuniaria, tanto a carico della “lucciola” che del rispettivo cliente.

Infatti, in diversi comuni d’Italia, i sindaci hanno emesso apposite ordinanze per vietare alle prostitute di adescare pubblicamente la clientela e a quest’ultima di contrattare il compenso per le prestazioni sessuali, e ciò nell’ottica che il mercimonio praticato in strada sia evidentemente contrario al decoro urbano e possa comunque compromettere la quiete pubblica.

Ciò che è invece penalmente sanzionato nel nostro ordinamento sono le condotte di “induzione, favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione”.

Per tornare al quesito iniziale, occorre comprendere cosa rischia chi tenta di convincere una donna, non avviata alla prostituzione, ad avere un rapporto sessuale a pagamento.

Immedesimandoci nell’immaginario collettivo, possiamo ipotizzare quale classica proposta indecente, quella del datore di lavoro che offre alla propria dipendente un  rapido avanzamento di carriera o un incarico particolarmente allettante a fronte di una esplicita richiesta di avere con lei un rapporto sessuale.

L’art. 3 della Legge 20 febbraio 1958, n. 75, meglio nota come Legge “Merlin”, per via della sua promotrice, la senatrice Lina Merlin del Partito Socialista, sembrerebbe non lasciare alcun dubbio al riguardo: “È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 258 a euro 10.329 (…) chiunque induca alla prostituzione una donna di età maggiore”.

Il concetto di “induzione alla prostituzione” non è però così semplice da intendersi poiché, mentre nel pensiero comune potrebbe essere considerato tale anche la semplice promessa di denaro, in termini prettamente legali, assume invece una valenza del tutto specifica.

Gli ermellini precisano, infatti, che il reato di induzione alla prostituzione consiste in quella particolare attività di persuasione ad intraprendere il meretricio, che non può però configurarsi con la semplice promessa di denaro, ma deve essere accompagnata da ulteriori atti idonei a suscitare o rafforzare l’altrui proposito di avviarsi alla prostituzione (ad esempio fornire un alloggio).

In ogni caso, la Cassazione ha chiarito che per rispondere del reato in questione è necessario che il colpevole sia un soggetto terzo rispetto alle parti coinvolte nella prestazione sessuale[1].

Per questi motivi, è possibile affermare che chiunque offra del denaro ad una donna al fine di ricevere in cambio un rapporto sessuale, per quanto moralmente possa essere ritenuto deprecabile, non potrà tuttavia essere perseguito dalla Legge.

[1] Sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 16207/2013

Avv. Andrea Ricci

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