Bigamia, adulterio e concubinato: quando l’infedeltà coniugale diventa reato
Il tradimento da parte di una persona sposata può dare origine ai rapporti di “adulterio” o “concubinato” a seconda che venga commesso, rispettivamente, dalla moglie o dal marito. La storia ci insegna che le due ipotesi di infedeltà coniugale non hanno sempre goduto del medesimo trattamento e di fatto, ancora oggi, in alcune culture distanti dalla nostra, mentre è consentito al marito intrattenere relazioni con più donne, l’infedeltà della moglie viene punita addirittura con la pena capitale.
Fortunatamente, il diritto familiare italiano si è evoluto radicalmente nel corso degli ultimi cinquanta anni, segnando una svolta decisiva in favore della parità dei sessi. Infatti, chiunque abbia in mano un codice penale potrà constatare come le norme relative ai reati di “adulterio” e “concubinato” (articoli 559 e 560), siano oggi solo un vago ricordo di un epoca in cui la società maschilista riconosceva quale unico modello di famiglia quello a conduzione patriarcale. La differenza tra i delitti di adulterio e concubinato, che oggi però non sono più in vigore in quanto dichiarati illegittimi dalla Corte Costituzionale, era fin troppo evidente nella sua valenza discriminatoria. Anzitutto, la moglie fedifraga veniva punita anche se avesse commesso un solo atto di tradimento e, in misura più grave, laddove fosse sfociato in una vera e propria “relazione adulterina”. Al contrario, con riferimento al marito, la sanzione penale scattava esclusivamente laddove, per un apprezzabile periodo di tempo, egli avesse avuto una relazione con la propria concubina e solo se la stessa abitasse all’interno della casa coniugale o “notoriamente altrove”. In altre parole, fintanto che l’infedeltà dell’uomo fosse stata occasionale, o comunque, accuratamente celata agli occhi della società, la moglie tradita non aveva alcuna possibilità di tutelarsi presentando querela nei suoi confronti. Era invece prevista, come disposizione comune ai due reati, quella che imponeva di applicare la stessa pena prevista per il marito e per la moglie infedele alla persona che si fosse resa complice del loro tradimento.
Occorre specificare che è invece tutt’ora in vigore nel nostro ordinamento il reato di bigamia. Infatti, in base all’articolo 556 del codice penale, è ancora punito con la pena massima di cinque anni di reclusione chi, essendo legato da un matrimonio avente effetti civili, ne contragga un altro, nonché colui il quale sposi una persona che sappia essere già vincolata da un precedente matrimonio. A differenza dei reati di adulterio e concubinato, che erano posti a tutela della fedeltà tra i coniugi, l’interesse protetto dal nostro ordinamento con la previsione del reato di bigamia è, esclusivamente, quello di garantire certezza agli effetti giuridici che derivano dal matrimonio. Proprio per tale ragione il nostro codice prevede che, se il primo matrimonio contratto dalla persona accusata di bigamia viene dichiarato nullo, il giudice penale dovrà limitarsi a prenderne atto e dichiarare il reato “estinto” con conseguente assoluzione dell’imputato.
Avv. Andrea Ricci
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