Liti in famiglia: si può cacciare di casa il proprio coniuge?
Nella vita coniugale, si sa, non sempre le cose vanno per il verso giusto, talvolta possono nascere delle liti furibonde e, in uno stato d’ira, ognuno reagisce in maniera diversa; c’è chi urla, chi lancia i piatti, e chi, come si vede in alcuni film, aspetta che il proprio coniuge esca di casa per preparare le valigie con tutte le sue cose e fargliele trovare fuori dalla porta.
Spesso però un comportamento simile va incontro a conseguenze di non poco conto perché, a seconda dei casi, è possibile integrare gli estremi di un grave illecito penale, quale è la cosiddetta “violenza privata”. Tale reato è previsto dall’articolo 610 del codice penale che stabilisce la pena della reclusione, addirittura fino a quattro anni, per “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualcosa”.
Ebbene, a molti potrebbe sfuggire il collegamento tra questo reato ed il comportamento di chi, beninteso, senza alcuna minaccia né violenza fisica, si limiti semplicemente ad impedire al proprio coniuge di far rientro nella propria abitazione. In realtà, occorre sapere che nel nostro ordinamento il concetto di “violenza” assume un significato molto più ampio rispetto a quello comune di violenza fisica, ricomprendendo tutti quei comportamenti finalizzati a “privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione altrui”. Proprio per questo motivo, anche il fatto impedire ad una persona di esercitare il proprio diritto di abitazione, anche senza usare violenza, potrebbe integrare gli estremi del reato previsto dall’art. 610 del codice penale.
Naturalmente, occorre sempre verificare le ragioni poste alla base di tale comportamento, essendo senz’altro giustificabile quello di chi voglia difendersi, ad esempio, da gravi abusi o comportamenti violenti del proprio coniuge. E’ importante precisare inoltre che nel caso in cui sia stata instaurata una causa di separazione o di divorzio, per poter allontanare il proprio coniuge dall’abitazione familiare bisogna sempre aspettare che venga emesso un provvedimento specifico dal magistrato. Questo perché, in caso contrario, potrebbe scattare il reato di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni” che si configura da parte di chi “al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo”.
La Corte di Cassazione nel 2014[1] ha condannato proprio per questo reato un uomo accusato di aver sostituito la serratura della porta dell’abitazione familiare senza comunicarlo alla propria moglie ed approfittando della sua momentanea assenza. A nulla valse il goffo tentativo dell’imputato di discolparsi basando la sua difesa su un presunto malfunzionamento della porta di casa. Ad avviso dei giudici romani, infatti, se così fosse stato, avrebbe comunque potuto, ed anzi dovuto, consegnare immediatamente alla propria moglie le nuove chiavi della serratura.
Avv. Andrea Ricci
[1] Cass. Pen. Sez. IV Sent. n. 4137/2014
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