Il reato di atti sessuali con persona “apparentemente” maggiorenne
Avere un rapporto sessuale con una persona che non ha ancora raggiunto la maggiore età può, in alcuni casi, integrare il reato, volgarmente, definito di “pedofilia”.
In realtà, occorre precisare che tale definizione è da ritenersi errata, in quanto il termine pedofilia (dal greco παις, παιδός “bambino” e φιλία “amicizia, affetto”) esprime soltanto l’attrazione, o meglio, la passione erotica per i bambini, a prescindere dalla consumazione di un rapporto sessuale.
Il codice penale italiano, invece, prevede all’articolo 609 quater il reato di “atti sessuali con minorenni”, la cui sanzione è stata volutamente fissata in misura identica a quella stabilita per il delitto di “violenza sessuale”.
La ragione di tale scelta legislativa risiede in una logica ben precisa: se si ritiene che una persona minorenne non sia capace di prestare un valido consenso all’atto sessuale, allora la punizione di chi si approfitta di tale incapacità deve necessariamente coincidere con quella da infliggere a chi imponga un rapporto contro la volontà di un soggetto che, al contrario, ha già raggiunto la maturità ed è pertanto capace di esprimere liberamente le proprie scelte sessuali.
Il legislatore ha dunque pensato, a buon diritto, di formulare la norma in esame in un’ottica di protezione del minore, anche nella consapevolezza dell’immensa difficoltà che si avrebbe se si dovesse accertare ogni volta la sussistenza di un consenso reale ed effettivo del minore.
Occorre precisare però, sfatando alcuni luoghi comuni, che il reato di cui si discute è punito soltanto a determinate condizioni, e che la sanzione prevista varia in relazione all’età del minore.
Anzitutto, la punibilità della persona che compie atti sessuali con un soggetto di età compresa tra i quattordici e i sedici anni è subordinata al fatto che il primo sia l’ascendente, il genitore o il di lui convivente, ovvero che abbia il minore in affidamento per particolari motivi, ad esempio, di istruzione, educazione o cura.
E’ prevista una pena più lieve per il maggiorenne che, nelle stesse condizioni ora indicate, compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i sedici e i diciotto anni.
Soltanto qualora l’atto sessuale venga compiuto con un soggetto infraquattordicenne non sussiste, invece, nessuna distinzione con l’ipotesi di “violenza sessuale”.
E’ bene precisare, però, che la Legge penale consente ai minorenni di avere rapporti sessuali tra loro, purché il più giovane abbia compiuto almeno tredici anni e non vi sia una differenza di età tra i due superiore a tre anni.
La norma esaminata risulta estremamente chiara e precisa, senonché la questione diventa alquanto spinosa con riferimento alla possibile, e spesso frequente, ipotesi di ignoranza dell’età del minorenne.
A mente dell’art. 609 quinquies c.p., “il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile”.
Il nodo di Gordio che la giurisprudenza ha tentato più volte, ma non è mai stata in grado di sciogliere definitivamente, ricade, come si potrà immaginare, proprio sul concetto, piuttosto generico e di labile interpretazione, di “inevitabilità” dell’ignoranza dell’età del minore.
Con il brocardo latino “malitia supplet aetatem”, tradotto letteralmente “la malizia supplisce l’età”, gli antichi romani esprimevano un concetto molto interessante, ossia, che gli atti compiuti da un soggetto minorenne non potevano ritenersi viziati qualora questi avesse artatamente simulato di aver raggiunto la maggiore età.
Per i cultori della materia, è affascinante osservare come tale principio sia stato fedelmente tramandato di Legge in Legge sino ai nostri giorni, potendosi rinvenire negli attuali codici, civile e penale, norme ad esso ispirate (si veda ad esempio, oltre al già citato articolo 609 quinquies c.p., l’art. 1426 c.c. in tema di annullabilità del contratto).
In materia penale, inoltre, la giurisprudenza ha arricchito questo concetto con alcuni correttivi.
In particolare, la Suprema Corte di Cassazione ha, anzitutto, ribadito più volte che non va esente da responsabilità penale chi faccia semplicemente affidamento sulle rassicurazioni ricevute dal minore in merito agli anni compiuti.
E’ evidente, spiegano gli ermellini, che qualora si abbia il benché minimo motivo di sospettare che il minore non sia stato sincero nel riferire la propria età, risulta sempre doveroso, per colui che intenda avere un rapporto sessuale con quest’ultimo, approfondire l’indagine nei suoi confronti e scansare, così, ogni dubbio.
Infatti, l’ignoranza dell’età del minore non può, e non deve mai, essere colposa, ma sempre, come detto, del tutto inevitabile.
I casi in cui ricorre tale circostanza sono rari, ma nemmeno troppo, basti pensare infatti al noto caso che ha scosso qualche anno fa le cronache politiche – giudiziarie e che recentemente si è concluso con l’assoluzione dell’imputato, proprio per mancanza di prove circa la sua consapevolezza dell’età della minore.
In quella occasione, i giudici romani avevano dato particolare risalto, in maniera del tutto condivisibile, tanto all’aspetto fisico, quanto al modo di comportarsi della minorenne coinvolta nello scandalo.
A parere di chi scrive, infatti, non può negarsi che la fisicità di una persona precocemente sviluppata rispetto alla media, accompagnata da movenze ed atteggiamenti particolarmente disinvolti e disinibiti, o da affermazioni menzognere circa la propria età, possano essere senz’altro in grado di alterare completamente l’immagine del minore e, conseguentemente, indurre in inganno l’altrui convincimento.
Avv. Andrea Ricci
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