Il reato di infanticidio “in condizione di abbandono”
L’omicidio di un neonato è indubbiamente uno dei reati più aberranti di cui una persona possa macchiarsi, tanto più se a compierlo è addirittura colei che lo ha dato alla luce.
Eppure, sembrerebbe assurdo, la legge prevede che in alcuni casi l’infanticidio debba essere punito in misura decisamente più lieve (da quattro a dodici anni di reclusione) rispetto al reato di omicidio comune, per il quale è invece stabilito che: “Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”[1].
L’articolo 578 del codice penale prevede infatti una specifica ipotesi in cui l’omicidio del neonato, sebbene non possa ritenersi giustificato, merita comunque di essere considerato in qualche modo ‘attenuato’ per via delle condizioni di “abbandono morale e materiale” della madre.
Nelle intenzioni del legislatore (si parla dell’anno 1930), le ragioni di una pena così mite per tale delitto risiedevano nella consapevolezza di quel particolare stato d’animo in cui poteva versare una madre dopo aver partorito un figlio non voluto, sopratutto per mancanza di adeguate risorse economiche.
Proprio per tali ragioni la norma in questione tiene a specificare che l’infanticidio in condizioni di abbandono ricorre soltanto quando il fatto avvenga “immediatamente dopo il parto”, giacché in caso contrario si configura non solo il reato di omicidio ma anche l’aggravante di “aver commesso il fatto contro un discendente”.
E’ interessante notare inoltre che l’articolo 578, sempre in virtù di quella sorta di empatia da serbare nei confronti della puerpera che versi in condizioni di particolare fragilità emotiva, esclude categoricamente che alla stessa possano esserle contestate alcune aggravanti, quali ad esempio quella di “avere adoperato sevizie” oppure “l’aver agito con crudeltà”.
Occorre aggiungere inoltre che la tutela per la madre psicologicamente ed economicamente debole viene estesa addirittura agli eventuali complici dell’infanticidio, con una diminuzione rilevante della pena (da un terzo a due terzi), a condizione però che questi abbiano agito “al solo scopo di favorire la madre”.
Infine, è importante precisare che non si configura il reato di infanticidio in condizioni di abbandono quando la morte del feto sia procurata ancor prima del distacco dall’utero (in tal caso si potrà al più configurare il reato di interruzione volontaria della gravidanza) oppure nel caso in cui al momento del parto il neonato sia già privo di ogni segno vitale.
Proprio quest’ultima ipotesi è stata recentemente oggetto di un processo celebratosi presso la Corte di Assise di Roma, all’esito del quale è stata assolta con formula piena una donna accusata di infanticidio e di aver occultato il cadavere del neonato gettandolo in un cassonetto dell’immondizia.
La Corte in tale occasione sposò in pieno l’avvincente tesi difensiva, riconoscendo che se, come in effetti era stato dimostrato, al momento del parto il neonato era ormai già morto allora la madre non poteva certamente essere riconosciuta colpevole di infanticidio; al contempo, non poteva nemmeno rispondere di occultamento di cadavere poiché, letteralmente, la nozione di ‘cadavere’ presuppone necessariamente che la persona morta sia stata prima, anche solo per un istante, in vita.
Avv. Andrea Ricci
[1] Articolo 575 del codice penale
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