Sesso con animali: esiste il reato di “zooerastia”?
Lo scorso mese è apparsa in rete la notizia di una donna di 28 anni di Torre Annunziata (NA) ricoverata in ospedale a causa dei dolori lancinanti che aveva avvertito a seguito di un rapporto sessuale consumato con il proprio dalmata.
Tale vicenda ha scatenato immediatamente il linciaggio mediatico della donna da parte degli animalisti, i quali hanno colto l’occasione per denunciare l’assenza nel nostro paese di un’adeguata normativa che vieti tale ignobile pratica, denominata “zooerastia”.
In effetti, occorre prendere atto che in Italia, a differenza di altri paesi europei come la Francia, il Regno Unito e la Svizzera, non esiste una legge che vieti espressamente il compimento di atti sessuali con animali.
Al contrario, ai sensi dell’art. 544 ter del codice penale italiano, risulta punibile soltanto il reato di “maltrattamento di animali” che si configura quando una persona “per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche o (…) somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi”.
In base alla formulazione di tale norma, sembrerebbe che la soglia penalmente rilevante di un rapporto sessuale consumato con un animale venga superata soltanto laddove derivino a quest’ultimo conseguenze pregiudizievoli per la sua salute.
Tale circostanza, a ben vedere, risulterebbe tutt’altro che agevole da dimostrare, specie laddove dall’abuso derivi per l’animale un danno di natura meramente psicologica.
La Corte di Cassazione nel 2012 ha avuto modo di occuparsi della pratica della zooerastia, e nello specifico della “zoopornografia” (produzione di materiale pornografico con protagonisti umani ed animali), con riferimento ad un allevatore bolzanino accusato di aver girato alcune riprese di sesso in cui erano stati coinvolti diversi cani.
Gli ermellini hanno affermato che tali comportamenti risultano già punibili in base alla legislazione attualmente vigente, potendosi applicare in modo appropriato la fattispecie di maltrattamento di animali.
Infatti, secondo la Corte, il concetto di “comportamenti insopportabili” richiamato dall’art. 544 ter c.p. deve essere interpretato nel senso che risultano insopportabili tutti quei comportamenti imposti agli animali che siano oggettivamente incompatibili con le loro caratteristiche etologiche, nel cui novero rientra, senza alcun dubbio, anche l’accoppiamento con gli esseri umani.
Avv. Andrea Ricci
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