Dal matrimonio riparatore ad oggi
Il 10 Agosto 1981 è sicuramente una data storica per la lotta alle violenze sessuali commesse nei confronti delle donne italiane, poiché sancisce definitivamente l’epilogo del cosiddetto “matrimonio riparatore”, un istituto fortunatamente abrogato dal nostro parlamento con la legge n. 442/1981.
In pratica, ai sensi dell’articolo 544 del codice penale, chiunque avesse commesso nei confronti di una donna una “violenza carnale” o “atti di libidine violenti” poteva confidare nell’estinzione automatica di tali reati qualora avesse successivamente sposato la propria vittima.
Il matrimonio era definito “riparatore” perché comportava la cessazione di ogni effetto penale del reato e svolgeva al contempo la funzione sociale di rimuovere l’onta del disonore che gravava inesorabilmente su colei che, non ancora sposata, avesse perso la verginità.
Non è dunque un caso che questi reati risultassero collocati nel codice penale tra i “delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume” e non già nel novero di quelli posti a tutela della libertà personale; ciò che infatti veniva considerato particolarmente riprovevole e da scongiurare non era tanto lo stupro in sé, quanto semmai lo scandalo derivante dal fatto che una donna potesse perdere la verginità restando al di fuori del matrimonio.
E’ proprio per questi motivi che una volta contratto il matrimonio riparatore non v’era più alcuna necessità di celebrare un processo per accertare le modalità con cui era stato consumato il rapporto sessuale, ormai agli occhi della società e della giustizia italiana il consenso espresso o meno dalla donna non assumeva più alcuna rilevanza.
Occorre considerare inoltre che molto spesso la donna ‘disonorata’, ma ancor prima la sua stessa famiglia, preferiva accettare la celebrazione di un matrimonio riparatore piuttosto che un defatigante processo penale tramite il quale l’abuso sessuale sarebbe divenuto certamente di dominio pubblico.
Nonostante tutto ciò, l’abrogazione del matrimonio riparatore deve molto proprio al comportamento di una giovane ragazza, Franca Viola, la quale con un estremo atto di coraggio fu la prima donna ad opporsi al matrimonio della persona che l’aveva violentata.
Il fatto, avvenuto nel Dicembre del ’65, fece molto scalpore anche perché commesso in Sicilia ad opera di un malavitoso che provò in seguito ad estorcere ai familiari di Franca il consenso per la celebrazione del matrimonio riparatore, senza tuttavia riuscirci.
Il coraggio di questa donna dette un forte scossone alla coscienza pubblica italiana, sebbene come visto ci vollero comunque quindici anni prima che il matrimonio riparatore fosse finalmente espunto dal nostro ordinamento.
Fortunatamente, oggi viviamo in un contesto sociale radicalmente diverso ove vige la piena parità dei sessi, la violenza sessuale è un reato punito con una pena che può variare tra cinque e dieci anni di reclusione[1] e non ammette alcuna scriminante; è bene precisare anzi che il fatto di aver commesso uno stupro nei confronti del proprio coniuge, anche separato o divorziato, o di una persona con la quale si è comunque avuto una relazione sentimentale costituisce una specifica aggravante che fa lievitare il massimo edittale fino a dodici anni di reclusione [2].
Avv. Andrea Ricci
[1] Articolo 609 bis del codice penale
[2] Articolo 609 ter del codice penale
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