M.G.F. : pratica religiosa o illecito penale?
Con l’acronimo “MGF” si intende l’insieme di tutte le mutilazioni genitali femminili, tra cui la clitoridectomia[1], l’escissione[2] e, la più nota, l’infibulazione[3]. Tali pratiche possono essere eseguite per fini terapeutici o, come molto più spesso accade, a scopi religiosi (almeno in apparenza), quasi sempre in scarse condizioni igieniche e da parte di persone prive di adeguate competenze chirurgiche, con risvolti devastanti sulla salute delle donne che vi si sottopongono. Infatti, con tali operazioni la donna viene privata della possibilità di provare piacere sessuale o di ricevere la penetrazione (salvo ricorrere successivamente alla cosiddetta “operazione di defibulazione”) esponendosi al contempo al rischio di infezioni o emorragie che, non di rado, si verificano anche con esiti letali. Per tali ragioni, nella maggior parte dei paesi del mondo tale pratica è proibita, nonché severamente punita dalla legge penale, mentre soltanto in alcuni stati dell’Africa subsahariana il fenomeno viene giuridicamente tollerato o comunque, anche laddove vi siano delle sanzioni astrattamente previste per tali operazioni, molto spesso non vengono in concreto applicate o non risultano realmente capaci di fungere da efficace deterrente.
In Italia, le mutilazioni genitali femminili sono punite in base all’art. 583 bis del codice penale con sanzioni che vanno da quattro a dodici anni di reclusione ed aumentate di un terzo nel caso in cui siano praticate su soggetti minorenni. Inoltre, sono previste sanzioni accessorie nel caso in cui il reato venga commesso da un genitore o da chi esercita una professione sanitaria e cioè, rispettivamente, la decadenza dalla responsabilità genitoriale, già patria potestà (essendo in passato riservata al solo padre) e successivamente divenuta potestà genitoriale, e l’interdizione dall’esercizio della professione sanitaria.
Per quanto riguarda le mutilazioni genitali maschili, occorre invece fare un doveroso distinguo tra l’evirazione e la circoncisione per comprendere la ragione per cui mentre la prima operazione è indubbiamente vietata dal codice penale, la seconda è considerata del tutto lecita. A differenza dell’evirazione e delle pratiche di MGF, la circoncisione costituisce infatti una lesione degli organi sessuali maschili che, tuttavia, non comporta alcuna conseguenza invalidante sulla salute dell’uomo, potendo anzi, in alcuni casi, anche giovare alla prevenzione di talune patologie urologiche. L’evirazione è invece espressamente qualificata dall’art. 583 del codice penale come circostanza aggravante del reato di lesioni: “la lesione personale è gravissima e si applica la reclusione da sei a dodici anni se dal fatto deriva (…) la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare”.
La ragione delle sanzioni previste per le mutilazioni genitali femminili e per l’evirazione risiede dunque nella volontà del legislatore di tutelare il bene inviolabile della salute umana, ritenuto prevalente rispetto al diritto di manifestare il proprio credo religioso nelle sue varie forme.
A tal proposito, non si può dimenticare la nota proposta lanciata nel 2004 da un ginecologo dell’ospedale di Firenze, di origini somale, di riequilibrare tali interessi praticando, su richiesta delle pazienti (o dei genitori in caso di minorenni), un’infibulazione per così dire “soft”, che rendesse meramente simbolico il rito della mutilazione. La proposta del medico somalo consisteva nel praticare alle pazienti una puntura di spillo sui genitali, previamente anestetizzati, per far uscire soltanto una goccia di sangue. Con tale escamotage, il ginecologo riteneva che, senza cagionarle alcun dolore, si sarebbe potuto evitare alla paziente di essere sottoposta alla barbara mutilazione tradizionale che, purtroppo, risulta ancora oggi clandestinamente praticata anche in Italia. Nonostante egli fosse, a ben vedere, animato da un fine nobile, la sua proposta venne immediatamente ricoperta dalle più aspre censure dalle associazioni per i diritti umani e del mondo femminista, ritenendo intollerabile che si potesse anche solo “simulare” la crudele pratica delle MGF.
Avv. Andrea Ricci
[1] Clitoridectomia: rimozione parziale del clitoride
[2] Escissione: rimozione totale del clitoride
[3] Infibulazione: asportazione della clitoride, delle piccole labbra, di parte delle grandi labbra vaginali con cauterizzazione, cui segue la cucitura della vulva, lasciando aperto solo un foro per permettere la minzione
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