Sesso e HIV: costituisce reato contagiare il proprio partner?
Recentemente ha destato scalpore la notizia di un soggetto sieropositivo che avrebbe consapevolmente trasmesso il virus HIV ad almeno quindici persone nella città di Roma.
Per tale comportamento i mass-media non hanno esitato ad attribuirgli l’appellativo di “untore” e la Procura della Repubblica ha dato avvio ad un procedimento penale nei suoi confronti.
Sul web si è discusso per diversi giorni di tale episodio, ed in molti si sono domandati quali siano le conseguenze penali per chi venga accusato di aver trasmesso il virus dell’HIV.
Per rispondere a tale quesito, è necessario anzitutto distinguere il caso in cui il soggetto sieropositivo abbia contagiato il proprio partner sapendo di aver contratto il virus rispetto a quello in cui la persona infetta fosse all’oscuro di tale circostanza ed abbia dunque, inconsapevolmente, causato il contagio.
Tale distinzione è fondamentale, in quanto il nostro codice penale prevede che per poter rispondere di un reato si debba aver agito intenzionalmente, ovvero con il c.d. “dolo”, o quantomeno con un atteggiamento colposo.
I reati che possono astrattamente configurarsi in caso di trasmissione del virus HIV sono quelli di lesioni personali e di omicidio.
Per quanto attiene al reato di lesioni personali, occorre precisare che le stesse vengono qualificate “gravissime” (punite con la reclusione da sei a dodici anni) poiché la patologia che deriva dall’infezione, l’AIDS, è attualmente ritenuta dalla scienza medica una “malattia certamente non sanabile”.
L’assunzione dei farmaci antiretrovirali, infatti, non consente la guarigione dalla patologia, ma sortisce soltanto l’effetto di ottenere una cronicizzazione della stessa.
Nel caso in cui a seguito del contagio del virus HIV derivi anche la morte della persona infettata, si configura invece il reato di omicidio che, al pari di quello di lesioni personali, può assumere, come detto, una connotazione colposa o dolosa.
Risponde del reato doloso, ad esempio, chi abbia causato volontariamente il contagio dell’HIV tacendo maliziosamente al partner la propria condizione di sieropositivo ed omettendo di utilizzare il preservativo, mentre si versa negli estremi del reato colposo quando semplicemente non vengono adottate le cautele necessarie ad evitare il contagio, come nel caso di utilizzo di profilattici in cattivo stato di conservazione da cui ne derivi la rottura con conseguente trasmissione del virus.
Merita di essere segnalata inoltre un’ulteriore forma di responsabilità penale, a titolo di “dolo eventuale”, che, non di rado, si verifica in questi casi.
Si tratta delle ipotesi in cui la persona sieropositiva non si pone come obiettivo quello di trasmettere il virus HIV al proprio partner ma, allo stesso tempo, accetta che possa verificarsi tale rischio.
Si pensi al caso in cui il silenzio serbato sulla sieropositività sia dettato esclusivamente dalla paura di perdere la persona amata.
La problematica in questione è stata affrontata nel 2012 dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha ritenuto responsabile del reato di lesioni personali dolose gravissime l’imputato sieropositivo che, per evitare che la propria compagna apprendesse tale circostanza, le aveva fatto credere durante la sua degenza in ospedale che i medici potessero parlare esclusivamente con il paziente, aveva inoltre scambiato le confezioni dei farmaci specifici per l’AIDS con altre prive di etichetta e, cosa ancor più grave, nel momento in cui si accorse che anche lei manifestava i primi sintomi dell’infezione si oppose fermamente al suo ricovero in ospedale.
Avv. Andrea Ricci
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